Tatuaggi a lavoro
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Tatuaggi a lavoro: si o no?

I tatuaggi a lavoro, rispetto alla legge italiana, non sono vietati. Tuttavia la realtà è un tantino diversa perché ci […]

I tatuaggi a lavoro, rispetto alla legge italiana, non sono vietati. Tuttavia la realtà è un tantino diversa perché ci sono numerose situazioni in cui questi non sono ammessi. Da una parte la nostra società tende ad accettarli sempre di più ma, dall’altra, sono ancora numerosissime le aziende che discriminano chi ha uno o più tatuaggi sul proprio corpo.

La legge non vieta i tatuaggi sul lavoro

Stando a ciò che dice la legge non esiste alcun divieto o discriminazione legale verso chi ha tatuaggi per quanto riguarda il mondo del lavoro. Questo significa che essere discriminati in questo senso è un illecito che va contro lo stesso Statuto dei Lavoratori.

Per la precisione soltanto le forze dell’ordine sono obbligate a comunicare i tatuaggi sul proprio corpo e non possono coprire cariche di rilievo qualora questi fossero offensivi, violenti, osceni o intimidatori.

Difatti durante le visite mediche generali le commissioni accertano anche la presenza di piercing e tatuaggi per il decoro dell’uniforme. Per questo in alcuni casi chi ha tatuaggi vistosi potrebbe non superare le selezioni per l’accesso.

Anche se i tatuaggi non sono vietati da nessuna legge è un dato abbastanza noto che rispetto a questo abbellimento estetico vigano numerosi pregiudizi, soprattutto nel mondo del lavoro. Quindi ci sono numerosi studi sull’argomento che rilevano che la presenza di tatuaggi vistosi e fuori dai canoni della “normalità” comportino un minor tasso si assunzione.

L’aspetto esteriore conta per l’assunzione

Dopotutto si sa che presentarsi in abiti formali e con un aspetto curato sia spesso un buon biglietto da visita per convincere l’esaminatore al colloquio. Quindi i lavori per i quali la presenza di tatuaggi potrebbe essere una discriminante sono quelli che riguardano le forze dell’ordine, la sanità e persino il campo di hostess e promoter.

Nel nostro Paese è vietato discriminare una persona per i tatuaggi e, dunque, questo non dovrebbe accadere. Chiaramente qualora dovessero verificarsi discriminazioni in tal senso è diritto del lavoratore portare la questione dinanzi ad un giudice.

Diverso è il caso della mancata assunzione per la quale l’azienda potrebbe mettere sul piatto le policy interne e il decoro dei dipendenti per una questione di immagine e di brand. Lo stesso vale per le discriminazioni implicite, motivate con altre “scuse” come la mancata adeguatezza del candidato nei confronti del ruolo vacante.

Quando l’azienda ha ragione?

Ai fini di questa breve riflessione ci preme ricordare che non è il tatuaggio o l’abito a determinare le qualità di un dipendente. Tuttavia questi possono influire anche pesantemente sulla carriera degli individui. C’è da sperare che le aziende riescano a superare certe resistenze e a scrollarsi di dosso i pregiudizi verso l’aspetto fisico che riguardano anche altre qualità estetiche.

Difatti le donne di aspetto avvenente sono spesso avvantaggiate in carriera così come gli uomini. Il tatuaggio così come un taglio di capelli diverso dai canonici o un particolare modo di vestire non sono qualità intellettuali e non dovrebbero essere motivo di discriminazione.

L’unica nota a favore rispetto a questo argomento riguarda l’attinenza dell’individuo verso i valori aziendali che, talvolta, potrebbero essere in contrasto. Ebbene questo potrebbe essere un motivo di mancata assunzione dal momento che l’azienda deve essere libera di prediligere candidati che sposino la propria filosofia. Tu cosa ne pensi?